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Ve lo abbiamo raccontato qualche giorno fa, di quanto la Dakar Classic abbia contribuito al ritorno di vecchie glorie nel deserto. Un’idea che da una parte fa onore a David Castera e dall’altra può dare la possibilità di realizzare un sogno.

Come quello di Henry Favre e Alessandro Iacovelli.

Classe 1995 il primo e 1998 il secondo. Dalla Valle d’Aosta con furore e tanta passione. Oltre “L’obiettivo Dakar” – come recita il titolo di un famoso libro – c’è la volontà di esorcizzare ciò che sta accadendo al mercato delle vetture “storiche“. Ebbene sì, virgolettiamo perché come giustamente sostiene Henry: “Non è possibile che le auto e le moto storiche prendano valore in maniera esponenziale, andando a tagliare una gran fetta di giovani appassionati che vorrebbero giocare con qualcosa di antico e arrugginito.”

E’ difficile dargli contro, considerando i prezzi di alcune vetture, come la Fiat Panda 4×4 – la più blasonata – con prezzi che rasentano i dieci mila euro per modelli discretamente efficienti.

“Si lascia l’esclusiva in mano a chi ha il portafoglio gonfio. […] Tagliando la mia macchina a pezzi, arriverò a stuzzicare il mondo dei collezionisti e darò l’opportunità a tutti di avere un pezzo di auto da corsa.”

Ed è proprio grazie al suo tagliuzzare su un Mitsubishi Pajero V6 del 1990 che ha attirato la nostra attenzione, nel preparare il ferro arrugginito per una delle corse più dure del mondo. A proposito di questo abbiamo voluto scambiare due parole con Henry, che è stato gentilissimo per lasciarci qualche minuto nonostante i mille impegni derivanti dall’imminente partenza.

-Ciao Henry grazie per averci dato qualche minuto, in queste ultime ore prima della partenza. Dai, dicci qualcosa del tuo ferro arrugginito!

Grazie a voi e scusate per la fretta, ma sono super preso con la macchina! Innanzi tutto abbiamo scelto il Pajero V6 perché un motore così non l’ho mai avuto in vita mia. C’era questo affare, di una macchina che aveva corso già diverse gare ma non era super preparata per fare questo tipo di corse. L’abbiamo trovata a buon prezzo e con l’euforia del momento, vedendo una macchina piena di adesivi, gomme tassellate e roll-bar ci siamo dimenticati che l’auto aveva tantissimo da fare. Per questo motivo con il mio amico, nonché meccanico nell’azienda di famiglia Alessandro Iacovelli, abbiamo passato praticamente nove mesi – giorno e notte – su questa macchina. In teoria funziona, poi sai, come si può rompere l’Audi ufficiale non escludo che anche alla nostra succeda. 

-L’obiettivo primario, come immaginiamo, sia arrivare al termine della Dakar. Avete comunque ambizioni di classifica?

Assolutamente, non abbiamo alcun obiettivo del genere, se non evitare di bruciare la frizione. Siamo qui ed è una gioia immensa. E’ come essere sul gradino più alto del mondo. E’ un sogno che tantissimi attendono da anni e noi ce l’abbiamo fatta, sfruttando un pò la mia faccia da c**o, la conoscenza dei social per reperire sponsor, lo sbrigare tutta la documentazione necessaria oppure affidarsi a qualcuno di super competente. A proposito di questo ci siamo affidati all’R-Team, il Ralliart Offrad Team Italy. Ci hanno seguito nella costruzione della vettura: chiaramente una macchina costruita in un garage in Valle d’Aosta, quindi con foto e altro materiale cercavamo di replicare le loro auto. 

-La Dakar, come i rally, si corre in due. Sicuramente nei raid la figura del navigatore è fondamentale. Diamo spazio quindi anche ad Alessandro: cosa ci puoi dire di lui?

Alessandro è la figura giusta che serve all’interno del mio progetto. In quanto è meccanico come dicevo prima, ha il “colpo d’occhio” e soprattutto è inesperto come me. Ho detto: “Voglio partire con qualcuno che non sa niente di Dakar”. Altrimenti mi sarei fatto vincolare da determinate situazioni e esperienza altrui senza potermi creare la mia. Un po’ contrariamente a come si dovrebbe fare, abbiamo deciso di fare i due matti che non sanno niente. Partiamo da zero, compriamo una macchina con tanti adesivi, ce ne mettiamo degli altri e anche il nostro nome. Conosciamo vite per vite il nostro Pajero. Anche filo per filo…l’impianto elettrico ci ha fatto penare ma con il senno di poi abbiamo sotto controllo ogni componente e sappiamo dove mettere le mani in caso di guasto.

-Raccontaci un po’ di te. Sappiamo che i motorini Malossi ti piacciono parecchio…

Sì, arrivo effettivamente dal mondo dei motorini. Faccio viaggi con i Ciao, i famosi motorini a pedale.

Mi sono evoluto nel tempo con Malossi che mi ha dato la possibilità di essere il “responsabile degli eventi matti”, piuttosto che blogger e influencer. Per questo motivo la stessa Malossi ha deciso di sposare la mia filosofia da matto e come potete vedere sulla macchina c’è anche un po’ di loro. Purtroppo non monta il nuovo cilindro 100cc dello Zip. Tutta la passione che metto sui motorini cerco di metterla anche in questo nuovo progetto.

-Grazie ancora per il tuo tempo ed in bocca al lupo!

Grazie a voi e crepi il lupo!