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Manca poco alla partenza della Dakar 2025. Gli ultimi preparativi sono ultimati, gli equipaggi definiti e manca solo il “Via” in Arabia Saudita. Proprio per questo, nella trepida attesa che tutto si concretizzi attorno al 3 Gennaio, rispolveriamo quelle idee pionieristiche che hanno da sempre contraddistinto la famosa corsa nel deserto.

Tempo fa avevamo parlato della Aixam Mega; il 4×4 prototipo, portato in gara dal famoso costruttore d’auto francese, di cui potete approfondire qui Aixam Mega e quell’unica Dakar a podio . Come ben sappiamo il progetto ambizioso, nonché competitivo, morì dopo solo un’edizione nonostante il favoloso secondo posto di Stephane Peterhansel. Quest’oggi siamo qui per parlarvi invece di una storia analoga, ma che coinvolge un famoso produttore d’auto italiano ed uno giapponese.

No, non è l’inizio di una brutta barzelletta.

Iniziamo con un nome e cognome. Franco De Paoli. Chi mastica di Rally Raid, sa bene che Franco non è un avventore di primo pelo nel deserto. Anzi, può contare ventiquattro edizioni nel suo palmarès. Titolare di un’azienda tessile ma anche proprietario di un’officina a Milano, Franco si era già cimentato nella gara più lunga del mondo con una Rover SD1 e un’Audi Quattro debitamente preparate. Nel 1989 arrivò l’idea geniale: portare una vettura del cavallino rampante alla Dakar. Ma non una qualsiasi, una Ferrari F40.

Si necessitava di una vettura incredibilmente affidabile e per questo (così anche per questioni di costi), non si optò per la vettura appena uscita dalla concessionaria. Franco De Paoli era un fiero “utilizzatore” dei robusti Range Rover V8; i tempi però erano passati e Mitsubishi si era fatta notare nel deserto con Zaniroli.

Per questo si utilizzò come base di partenza proprio il Mitsubishi Pajero, dando vita al progetto Red Typhoon. Il posteriore venne completamente rivisto, adottando un sistema sospensivo indipendente ad aria con doppio ammortizzatore Bilstein. Soluzione che venne utilizzata sia all’anteriore sia al posteriore. In questo modo poteva vantare di un innovativo sistema di regolazione dell’assetto mediante un compressore (una soluzione che in poco tempo, come storia insegna, sarebbe stato da togliere per le famose regolamentazioni restrittive dell’epoca sui 4×4).

Il motore era sempre di casa Mitsubishi, già molto in voga nei rally con la Starion. Il 2.0L 4G63 fu elaborato da Mauro Nocentini: grazie al suo intervento la vettura erogava 240cv e 330Nm di coppia. La velocità di punta non sorprendeva vista l’epoca, con 210km/h massimi. La concorrenza era spietata con Peugeot 205 T16, 405 e le Mitsubishi Ufficiali. Purtroppo però la vettura non terminò la corsa per un problema meccanico e il progetto fu accantonato. La Red Typhoon bruciò in un incendio nel capannone dove riposava, andandosene così come era arrivata.